Sede comunale

Municipio

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Descrizione

Bonassola ... ... nome che sa di buono, di bonaccia, di sole, di solitudine.

(Sem Benelli)

 

Il toponimo Bonassola non si sa da dove derivi né quando sia stato usato per la prima volta. La forma odierna è della fine del XIX secolo. Nei documenti della prima metà dell’Ottocento è ancora scritto Bonasola e anche Matteo Vinzoni (XVIII sec.) lo scrive nello stesso modo. Nel 1569, quando viene fondata la Compagnia di mutuo soccorso per riscattare i prigionieri dai pirati, nell’atto costitutivo compare Bonassolla.

Alcuni storici fanno derivare il toponimo da Bulnetia, o Bodetia, termini che compaiono in documenti altomedievali. Questa interpretazione è però alquanto dibattuta e, allo stato attuale delle conoscenze, ci sembra che la nostra curiosità possa fermarsi al termine Vallis Bonazolae, con il quale veniva anticamente indicata tutta la zona che si affaccia sul mare in corrispondenza del tratto di costa che resta ad occidente di Levanto e ad oriente di Framura.

 Il toponimo Vallis Bonazolae è peraltro avvalorato dal fatto che, prima del XV-XVI secolo, il borgo che oggi chiamiamo Bonassola non esisteva perché dove attualmente si trovano strade e case, c’era il mare che arrivava pressappoco in corrispondenza dell’attuale viadotto ferroviario. Pertanto prima c’era la Valle e solo successivamente è sorta Bonassola.

 Cenni di geografia

Bonassola è un piccolo comune (superficie 931 ha) in Provincia della Spezia, che si estende per circa 5 km. lungo la costa orientale ligure e confina ad oriente con Levanto, ad occidente con Framura.
La piana alluvionale sulla quale è stato costruito il borgo a mare ha una profondità di ca. 300 m. e arriva ai piedi delle colline retrostanti.

 

L’ubicazione dei centri storici di mezza costa è la seguente:

-      Montaretto e Reggimonti (ca. 300 m. s.l.m.) si trovano ad occidente, alle spalle del Monte Brino;

-      San Giorgio (280 m. s.l.m.), Costella ( 170 m. s.l.m.) e Serra (75 m. s.l.m.) sopra il golfo di Bonassola;

-      Poggio e Scernio ad oriente, sulla costa del Monte Rossola.

 

Sotto l’aspetto geologico il territorio di Bonassola è per la maggior parte costituito da rocce particolarmente dure e non friabili, che ne rendono la morfologia compatta. Verso oriente prevale la roccia serpentinitica verde, uno dei materiali lapidei maggiormente impiegati nell’edilizia locale. Nella parte occidentale si trovano gli argilloscisti, un tipo di rocce più facilmente lavorabili perché più tenere. Secondo alcuni storici è questa la ragione per la quale i primi insediamenti umani sorsero a Montaretto e Reggimonti.

 

Nel territorio di Bonassola si trovano alcuni minerali, principalmente la pirite (da cui si estrae il ferro), che è stata cavata in epoche diverse. E’ attestato che già nel 1285 alcuni di Levanto ricavavano la pirite in località Scernio. Probabilmente era lo stesso filone di cui venne ripresa l’estrazione nel corso del XIX secolo, interrotta definitivamente nel 1930.

 

La storia

 

La storia di Bonassola è ancora quasi tutta da scrivere, per cui questa sintesi presenta inevitabilmente alcune lacune e taluni aspetti non sufficientemente approfonditi.

L’atto più antico in cui è citata indirettamente Bonassola risale al 18 marzo 1154. E’ il cosiddetto Privilegio di Papa Anastasio IV, con il quale viene confermata al Vescovo di Luni Gottifredo la giurisdizione ecclesiastica sulla pieve di Ceula (l’attuale chiesa di San Siro a Montale di Levanto), avente alle sue dipendenze la chiesa di Flerno (Scernio). In effetti quest’ultima, dedicata a San Pietro, funzionava ancora nel 1584 e dipendeva dalla parrocchiale di Bonassola, anche se ormai era in cattive condizioni e vi si celebrava la Messa solo quattro volte l’anno. Matteo Vinzoni, in una sua carta del 1773, la indica poco sopra l’attuale bivio stradale tra Levanto e Bonassola. Dal cadrasto del 1778 risulta che ha i muri diruti.

Bonassola è nominata per la prima volta in un documento del 29 gennaio 1269 in cui compare anche la chiesa di San Giorgio de Resegunti, mentre in un atto notarile del 21 aprile 1277 sono presenti come testimoni Bonaccorso Scerno e Giovannino Zanegno, entrambi di Bonassola.

Ma la testimonianza più remota relativa alla Vallis Bonazolae è fornita dall’archeologia. Tra il 1959 e il 1960 Leopoldo Cimaschi effettuò una campagna di scavi sui ruderi della Chiesarotta ubicata nell’omonima località, a circa 1 km di distanza da Reggimonti. I risultati furono sorprendenti. Infatti sotto i ruderi della Chiesarotta, che altro non era se non la chiesa di San Giorgio de Resegunti del XII secolo, venne trovato un tempio d’epoca altomedievale, il più antico sinora rinvenuto in tutta la zona. Non solo, a circa 25 m. da esso e a 1,50 m. sotto il livello di fondazione venne rinvenuta un breve tratto di strada che fu identificata con l’antichissima via Ligurum, la strada già esistente prima che la Liguria fosse assoggettata da Roma.

Con il privilegio di Papa Anastasio IV e, soprattutto, con gli scavi effettuati sotto la Chiesarotta risultano indubitabilmente accertati due fatti: la frequentazione della Valle di Bonassola da parte dell’uomo risale a prima dell’invasione di Roma ed è iniziata probabilmente nella zona occidentale della Valle (Reggimonti e Montaretto); solo verso il XII secolo ha interessato anche quella ad oriente (Scernio). Una conferma delle origini medievali di Reggimonti si avrebbe peraltro dal fatto che il toponimo dovrebbe indicare il possesso regio delle pendici montuose.

Nel corso del XIII secolo alcuni atti citano esplicitamente la chiesa di San Giorgio de Resegunti (o Rexemonti, o Resemonti), che andò distrutta quasi certamente da una frana, tra il 1298 e il 1310. Probabilmente in questo intervallo di tempo fu edificato il tempio dedicato a Santa Maria Assunta di Reggimonti, ove venne trasferita la sede parrocchiale. Certo è che dai documenti sappiamo che nel 1310 c’è un rettore in Santa Maria Assunta e pertanto doveva esistere anche la chiesa.

 

Le prime notizie che si conoscono sui centri storici di mezza costa risalgono alla prima metà del Quattrocento, periodo in cui Bonassola dipendeva amministrativamente dalla Podesteria di Framura, e riguardano Reggimonti e Montaretto, ove era abbondante la produzione di olio, vino e castagne e la popolazione era di 300 habitatores.

Da un rilevamento del 1531, fatto dalla Repubblica di Genova per scopi fiscali, risulta che gli abitanti di Bonassola erano prevalentemente mercanti di vino, marinai e agricoltori. Le principali produzioni agricole erano l’olio, le castagne e il vino, che veniva anche esportato. Il grano e le biade, prodotti in quantità insufficiente a coprire il fabbisogno locale, venivano importati.

Dagli annali di Agostino Giustiniani, del 1537, risulta che il numero di foghi, cioè di famiglie, tra Montaretto, Reggimonti, San Giorgio, Costella, Scernio, Serra e in la riva del mare Bonasola cò la chiesia di S.Catherina, erano complessivamente 200. Nella storia del Giustiniani viene nominata per la prima volta la chiesa di Santa Caterina. Quindi, presumibilmente tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500 nasce il centro storico a mare e viene edificato il sacro edificio.

Nel 1584 le parrocchie di Bonassola sono visitate dal mons. Angelo Peruzzi, nel corso di una visita apostolica, cioè ordinata direttamente dalla Santa Sede, a tutte le parrocchie della diocesi. Una delle notizie che il parroco era tenuto a dare al nunzio apostolico era il numero di anime da Comunione della parrocchia. Dai verbali delle visite nelle due parrocchie allora esistenti, a Bonassola (San Giorgio diventerà parrocchia solo nel 1690), sappiamo che le anime da Comunione erano 280 a Montaretto e 90 a Bonassola (si tenga presente che allora la prima Comunione veniva normalmente somministrata tra 12 e 16 anni).

Nella prima metà del ‘500 il borgo a mare si sviluppo fortemente, mentre nella seconda la crescita si arrestò, probabilmente a causa delle incursioni pratesche. Nel medesimo periodo venne edificato l’Oratorio di San Rocco, a Mortaretto, e nel 1552 venne ultimata la Chiesa di San Giorgio, escluso il campanile, che fu eretto tra il 1673 e 1676.

Nel 1608 la popolazione di Bonassola e della sua Valle si aggirava sui 700 abitanti e nel 1670 sfiorava i 900. Un incremento demografico non indifferente, segno che l’economia della comunità era in espansione, com’è confermato dal rilievo censuario fatto dalla Repubblica di Genova nel 1612. Da quest’ultimo risulta che a Bonassola si coltivavano vite, olivo, castagno, limone, gelso, fichi e molti terreni erano adibiti ad orti. La coltivazione della vite prevaleva su quella dell’olivo. La parte restante del territorio era boschiva. I limoni si trovavano soprattutto in località Gavazzo e nella zona a mare. Il gelso era diffuso a Scernio, Poggio e Costella; ma verso la metà del ‘600 la crisi del mercato serico a Genova ne causò l’abbandono. I frantoi erano numerosi e sparsi su tutto il territorio da Montaretto alla marina, lungo il percorso dei principali torrenti, il Sangiorgio ad est e il Rossola ad ovest. La pesca era di scarso rilievo, mentre erano in forte espansione i trasporti marittimi.

Tra il 1670 e il 1730 nel borgo a mare la popolazione aumentò di 300 persone. Nel 1802 gli abitanti erano complessivamente 1.293 (dato che verrà superato soltanto nel corso del XX secolo), così suddivisi fra le tre parrocchie: S. Caterina 761, S. Maria Assunta 256, S. Giorgio 276.

Indubbiamente la crescita della popolazione è da mettere in relazione con l’aumento dei traffici marittimi. Infatti Bonassola ebbe molti uomini di mare provetti se non addirittura valorosi. Primi fra tutti gli ammiragli Serra, tra cui in particolare Luigi, che visse tra la seconda metà del Settecento e la prima dell’Ottocento. Anche San Giorgio e Montaretto contribuirono all’espansione della marineria, com’è comprovato dai 31 abitanti di questi due nuclei che alla fine del ‘700 risultavano assenti dai luoghi d’origine perché imbarcati.

 

Le carte settecentesche di Matteo Vinzoni costituiscono una fonte di notizie davvero insostituibile per la storia di Bonassola. In quella del 1773 che fa parte dell’Atlante dei Dominii, per esempio, si nota che le prime case del borgo a mare furono costruite nei pressi della parrocchiale di Santa Caterina e ai piedi della collina sulla quale sorge il castello, mentre la piana alluvionale formata dai torrenti Rossola e San Giorgio è edificata solo in parte.

Nel Settecento l’agricoltura e i traffici marittimi assorbivano quasi la totalità della popolazione. L’olivo, la vite, le castagne, gli agrumi ed i fichi erano i principali frutti della terra. La produzione di vino e di olio oscillava, rispettivamente, tra 1.200 e 1.500 ettolitri e tra 150 e 220 barili. L’olio veniva venduto in Lombardia e il vino a Genova. Il grano, il mais ed i fagioli venivano acquistati a Napoli e in Sicilia. Era praticata anche l’apicoltura (con 48 alveari), mentre la zootecnia era di modesta entità (605 pecore e 13 bovini) e i maiali erano 79.

Nel luglio del 1799 avvenne l’occupazione francese e le truppe causarono danni non indifferenti alla popolazione obbligandola a rifornirle di pane, vino, olio, legna e fieno, con il disagio che si può facilmente immaginare. Per non parlare dei danni subiti dal naviglio di Bonassola durante il blocco navale attuato dall’Inghilterra a partire dal 1806. 

A quest’ultimo proposito, nel 1809 il Sindaco fa una situazione delle navi di Bonassola prima e dopo la guerra. Dal confronto emerge un calo di oltre il 50% del numero di imbarcazioni e di circa il 75% della portata complessiva.

Con l’ordinamento napoleonico del 1803 il borgo a mare entrò a far parte del Cantone di Montaretto.

Nel corso del XIX secolo infine si verificano degli eventi che sconvolsero completamente la vita di Bonassola: la costruzione della linea ferrata e della strada della Baracca, la scoperta e lo sfruttamento del marmo, il tramonto della marineria. Quest’ultima attività, che per secoli è stata fondamentale per Bonassola, è andata rapidamente perdendo d’importanza nella seconda metà dell’Ottocento, sia in seguito all’entrata in funzione della ferrovia, sia a causa delle mutate caratteristiche della navigazione marittima. L’introduzione della macchina a vapore ha cioè soppiantato in poco tempo attività ed abitudini di vita secolari. Se da un lato Bonassola, con l’arrivo della ferrovia è uscita dall’isolamento in cui viveva da sempre, dall’altro ha perso l’attività che l’ha connotata in modo inconfondibile per secoli, sino a portarla, nel Settecento, ad essere seconda solo a Lerici nell’estrema Liguria di Levante. Va peraltro precisato che la tradizione marinara bonassolese è proseguita sino ai primi decenni del Novecento, con uomini di mare valenti che hanno continuato a navigare per importanti società di Genova.

Nel 1832, durante lavori per riparare la vecchia strada per la Baracca, venne casualmente scoperto il marmo. Questa risorsa venne sfruttata intensivamente e Bonassola fu invasa da molti cavatori. Oggi l’estrazione di questo pregiato materiale prosegue, anche se a ritmo molto più modesto, perché il filone si sta esaurendo.

Nel Novecento nasce una nuova attività, il turismo, e cala drasticamente l’agricoltura, ormai finalizzata quasi esclusivamente alla produzione per uso familiare. La popolazione, dopo la seconda guerra mondiale diminuisce sensibilmente, come in quasi tutta la Liguria e questo fatto, congiuntamente a tutti gli altri che si sono verificati a partire dal secolo scorso, determina nuove condizioni di vita.

La viabilità 

Anticamente le comunicazioni tra Liguria Orientale e vicina Etruria con l'estrema penisola d'Europa avvenivano tramite una strada litoranea preistorica di cui abbiamo notizia sia da Polibio, sia da Strabone. Tale via millenaria - la futura via Romea - che collegava Roma con l’Iberia, venne riorganizzata dai Romani dopo la vittoriosa campagna di M. Claudio Marcello contro gli Apuani ed i Veleiati (155 a.C.) e serviva per andare da Luni e Genova, prima che venisse realizzata la via montana di Alpe Pennino (l’odierno Passo del Bracco) descritta nell’Itinerario Antoniano. Dopo Luni la strada seguiva questo percorso: Boron (oggi San Venerio), La Spezia, Biassa, Montenero, Volastra, San Bernardino,  Reggio e Soviore.

Da Soviore una via, che un’antica tradizione vuole percorsa nel X secolo dall’imperatore Ottone III, portava a Cebula (nota nel VII secolo come presidio bizantino). La strada proseguiva passando per il promontorio di Scernio, Montaretto e per la pieve di San Martino, a Costa di Framura. Successivamente entrava nella valle superiore della Deiva e quindi giungeva nel seno di Moneglia dove trovava, sulle estreme propaggini del Bracco, uno sbocco verso la penisola di Sestri Levante.

Nel Medioevo da Ceula (l’odierna Montale di Levanto) partiva una strada (a cui erano collegate Reggimonti, Montaretto e Scernio), che, dopo aver valicato il Monte Bardellone, proseguiva nella valle del torrente Malacqua, lungo il canale di Cassana e giungeva a Brugnato. Poi passava per Zignago, Pontremoli, il Passo della Cisa e Parma, ove transitava la Via Francigena

Un altro percorso medievale, riattivato dalla Repubblica di Genova tra la fine del Cinquecento e l’inizio del secolo successivo, passava per Marinasco, Ponzò, Corvara, Pignone e - tramite Soviore - andava a congiungersi con quello costiero che transitava per Scernio.

Il borgo a mare

E’ a schema lineare con l’asse generatore principale parallelo, anche se in posizione arretrata, alla costa, verso la quale si è espanso in epoche più recenti. Anticamente si limitava a pochi gruppi di case situati ai piedi delle colline. Tra il XV e il XVI secolo iniziò a svilupparsi, essendosi ritirato il mare. La prima fila di case edificate è probabilmente quella situata sotto il castello e va dalla località Roso fino al torrente San Giorgio. Verso la fine del ‘500 sorse un altro gruppo di costruzioni, disposte parallele alle prime. Nel ‘700 vennero costruite le case prospicienti la marina.

L'edificio comunale

Si tratta di una costruzione del ventennio. Nell’ingresso, sulla parete destra, lapide in marmo bianco con l’elenco dei caduti della prima guerra mondiale e sotto il proclama del generale A. Diaz del 4 Novembre 1918, riprodotto su bronzo. Sulla parete opposta, lapide in marmo bianco con l’elenco dei caduti della seconda guerra mondiale. In cima alla scala, elegante porta d’ingresso con vetri multicolori. Entrando si trova una vetrina espositiva entro la quale sono conservati due modelli di velieri (un brigantino a palo del 1875, costruito da Del Bene Giò Batta e Viviani Giacomo, e la nave scuola Amerigo Vespucci, di Carlo Savoia) e tre navi in bottiglia costruite da Bonassolesi. Nella nostra cittadina, infatti, si trova ancor oggi qualche artigiano che si dedica a questa forma di arte minore. Proseguendo, in fondo all’ala occidentale del corridoio, c’è la Galleria d’Arte Moderna Antonio Discovolo, dove sono esposti molti quadri, tra cui uno di Antonio Discovolo, Primavera, ed uno di Orlando Grosso, Incontro Antonio Discovolo che dipinge nella pineta. Il dipinto di Discovolo è sistemato sul cavalletto che fu dell’artista, donato al Comune dalla famiglia del pittore.

La Madonnina della Punta

Sorge ad occidente del golfo, sulla punta chiamata un tempo di Santa Rosolea. Venne fatta edificare dalla famiglia Poggi verso la fine del ‘600. Nel 1932 fu restaurata su progetto di Orlando Grosso e, nell’occasione, vi fu aggiunto il porticato antistante. Dal piccolo promontorio sul quale si trova, uno degli angoli più caratteristici di Bonassola, si ha un ampio panorama da Punta Mesco al Promontorio di Portofino.

 

 

Edifici di pregio storico-architettonico

 All’inizio di via Daneri, sulla destra, casa torre del XVI secolo, con un arco d’epoca posteriore.

 Palazzo Vinzoni, via Daneri 37, della fine del XVI secolo. Sopra il portale, Madonna incoronata che legge un libro. Una targa posta sulla facciata indica che in questa casa soggiornava Matteo Vinzoni per ritemprarsi dopo le fatiche genovesi. L’edificio, a due piani, con tetto a quattro falde, è semplice e lineare. Tra i n. 63 e 65 della medesima via, statua di San Giovanni Battista in marmo, entro nicchia.

 Palazzo Paganetto, piazza Brigata Garibaldina Cento Croci. E’ un edificio signorile settecentesco, probabilmente uno dei più interessanti di Bonassola, che fu degli armatori Paganetto. A due piani, ha una decorazione pittorica ancora leggibile sul prospetto che dà sulla piazza e su quello verso il giardino. Tra il primo e il secondo piano, una fascia color arancio con disegnate una serie di figure grottesche in vari atteggiamenti. Le mensole sotto il cornicione sono dipinte con una foglia di acanto e, tra l’una e l’altra, disegni di ancore, sciabole e festoni. Il prospetto verso oriente presenta un loggiato a tre archi con le volte dipinte (si possono osservare meglio da piazza San Francesco). Dal lato opposto, al centro tra le due finestre, in corrispondenza del primo piano, figura maschile; del secondo, grande stemma. Sulla facciata, lapide marmorea con un sonetto attribuito al Metastasio.

 Palazzo Farina, via Fratelli Rezzano, all’angolo con via Libertà. Tipico palazzo signorile genovese del ‘700, dipinto e con una lunga balaustrata in marmo bianco al primo piano.

 Palazzo Saporiti - Paganetto, via S. Erasmo. Del XVIII secolo, con ampie finestre alla genovese. Sull’architrave del portale, c’è incisa la scritta: NULLI CERTA DOMUS (nessuna casa è certa).

 La Chiesa di San Giorgio

 In posizione dominante, pressappoco al centro della valle, si erge questo tempio, preceduto da un piazzale con sagrato a pietre di tre colori. Ultimato nella seconda metà del Cinquecento, sino al 1690 dipendeva dalla parrocchia di Santa Maria Assunta di Reggimonti. Il campanile venne edificato tra il 1673 e il 1676, utilizzando le pietre della Chiesarotta e della Torre Ardoino. Esternamente è stato completamente restaurato pochi anni or sono. La facciata è suddivisa da una fascia capitellare in due parti orizzontalmente, mentre verticalmente è tripartita da quattro lesene. Nell’ordine superiore, sui due lati nicchie con statue della Vergine e un santo. Al centro, piccolo bassorilievo con San Giorgio che uccide il drago, entro cornice. Nell’ordine superiore, finestra trilobata in stile barocco, come le altre decorazioni della facciata. L’interno, purtroppo non visitabile perché chiuso per restauri, è ad aula chiusa da un’ampia abside semicircolare all’interno della quale si trova il coro. Vi sono conservati alcuni dipinti ed arredi sacri di discreta fattura. Sul secondo altare a destra dell’ingresso, tela dipinta del XVIII secolo con la Madonna del Carmine, San Pietro Martire e Santa Lucia. Tra il secondo e il terzo altare, Crocifisso ligneo processionale di scuola genovese (XVIII sec.). Sul terzo altare, statua raffigurante la Madonna del Carmine di scuola genovese dello stesso periodo. Sul lato sinistro gli altari sono due perché quello di mezzo venne demolito per far posto al pulpito. Sull’altare vicino al presbiterio si trova una tela dipinta nella quale sono rappresentati la Madonna con il Bambino, San Lazzaro e Santa Maria Maddalena (olio su legno del XVII sec.).

Sull’altare a sinistra dell’ingresso, Sant’Antonio da Padova, tela dipinta settecentesca. La zona presbiterale è separata dal resto della chiesa da una balaustra in marmo bianco di Carrara di buona fattura. Subito dopo la balaustra, a sinistra, tela devozionale ottocentesca di gusto popolaresco, in cui sono raffigurati l’Addolorata e Gesù deposto (l’immagine è probabilmente mutuata da quella della Madonna di Soviore).Sull’altar maggiore, Crocifisso ligneo settecentesco; Cristo risorto (olio su rame) sulla porticina del tabernacolo e tronetto ligneo dorato dell’Ottocento. In coro, tela del XVIII-XIX secolo, con il Santo a cui è intitolata la chiesa. Nell’interno si trovano anche quattro lampioni processionali dorati della prima metà XIX sec. In controfacciata, sopra l’ingresso, organo e cantoria ottocenteschi in cattivo stato di manutenzione. Tra i paramenti sacri della chiesa se ne segnalano alcuni rossi damasco.

La torre Ardoino

Poco sotto San Giorgio si trovano i ruderi di questo antico manufatto difensivo, costruito dagli uomini del posto a partire dal 1544 e così chiamato perché gli Ardoino erano a quel tempo i signori del luogo. Verso la metà del ‘600, a causa probabilmente di un cedimento del terreno, la torre andò parzialmente distrutta e successivamente parte delle pietre che la costituivano venne utilizzata per la costruzione del campanile della parrocchiale di San Giorgio, unitamente a quelle dei ruderi della Chiesarotta, come si è già scritto.

La Chiesa di Santa Maria Assunta di Reggimonti

L’edificazione del sacro edificio è probabilmente avvenuta tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, quando crollò la Chiesarotta e dovette essere sostituita da un’altra. Certo è che la costruzione attuale non presenta visibilmente nessuna traccia di quella medievale e, forse, solo l’orientamento è rimasto inalterato. Durante il saccheggio di Montaretto del 1560 la chiesa venne completamente spogliata dei paramenti ed arredi sacri. L’interno è a tre navate separate da due coppie di pilastri con una sola abside. La larghezza è molto accentuata rispetto alla lunghezza, sicché internamente si ha l’impressione di una certa mancanza di proporzioni. La volta è completamente dipinta, in stile popolaresco (inizi XX sec.), con i simboli dei quattro Evangelisti negli angoli e, in mezzo, l’Assunta e San Pietro Martire. Sotto, schiere di angeli. Sull’altare del fianco sinistro, martirio di San Pietro, olio su tela lobata in alto, del XVII sec. Sull’altare a destra del maggiore, statua della Madonna del Rosario (XVIII sec.) contornata da quindici dipinti di forma ovale nei quali sono rappresentati i Misteri del Rosario (XVIII sec.). Sopra l’altar maggiore, statua lignea dipinta dell’Assunta attribuita alla bottega del Maragliano. Sull’altare a sinistra del maggiore, Crocifissione e anime purganti, con ampie ridipinture molto più rozze dell’originale (XVIII sec.). Sull’altare del fianco destro, tela dipinta ad olio raffigurante Sant’Antonio da Padova (XVIII-XIX sec.). Sul primo pilastro a sinistra, Crocifisso ligneo processionale. A sinistra entrando, in alto, tronetto ligneo dorato per esposizione del Santissimo Sacramento (XIX sec.). All’ingresso del presbiterio, bella balaustra in marmo bianco di Carrara, con stemmi scalpellati all’epoca dell’invasione napoleonica. Sui due lati quattro lampioni processionali dorati del XIX secolo.

In controfacciata, sull’ingresso, organo e cantoria della seconda metà dell’Ottocento, della ditta Paoli di Chiavari, malgrado la scritta sul frontalino indichi Organo dei Serassi inaugurato e benedetto da S.E.Ill. Giovanni Costantini Vescovo il 29 Aprile 1935 XIII. In effetti l’organo fu acquistato nel 1935 dalla chiesa di Santa Maria di Bacezza (Chiavari). La cantoria è dipinta e vistosamente decorata, la cassa lignea è abbellita da dorature.

L’Oratorio di San Rocco a Montaretto

Posto pressoché all’inizio della parte antica del borgo, di forme molto semplici, è internamente ad aula, chiusa da un’abside semicircolare. La facciata reca delle finte lesene dipinte, probabilmente d’epoca relativamente recente. Sul frontone, una panchina in muratura, interrotta dal portale, ove nelle giornate di sole è facile trovarvi seduti gli anziani del paese. Nell’interno, con un solo altare in muratura, due statue del santo titolare, una in legno su cassa processionale, l’altra in marmo bianco sull’altare. Anticamente l’oratorio era sede della Confraternita  di San Rocco, i cui associati tutte le domeniche vi si riunivano per pregare vestiti con cappe bianche. Era altresì compito della confraternita, regolata da statuti molto antichi, provvedere per l’assistenza agli ammalati e per i festeggiamenti da fare in occasione della festa del Santo titolare. Nelle vicinanze dell’oratorio si trovava un ospitale per i poveri ed i pellegrini, al cui mantenimento provvedeva, in parte, la Confraternita stessa. Questo ricovero restò in funzione almeno sino alla metà del secolo scorso e, ancora all’inizio del Seicento, aveva un ospitaliere che curava l’assistenza ai pellegrini e amministrava i beni dell’opera pia.

Altre notizie 

Il saccheggio di Montaretto del 1560 

Con la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453) la riviera ligure ritornò in balia dei pirati. Nel levante ligure, una delle incursioni più gravi fu quella di Bonassola del 1560, ove da tempo la popolazione era sottoposta con particolare frequenza alle scorrerie dei pirati, anche a causa della mancanza di adeguate opere difensive. Ma, sia per l’inerzia della Repubblica di Genova, sia a causa delle discordie tra gli abitanti del borgo a mare con quelli di mezza costa, non si riusciva a realizzare la costruzione di un valido sistema di difesa del borgo.

Il 2 maggio 1560 avvenne il peggio, come da tempo si temeva. Del triste evento ci sono pervenute dettagliate versioni, tra cui quella del podestà di Sestri Levante, che così scriveva al Senato Genovese lo stesso giorno. Stamattina, all’apparire del sole, hanno dato in terra a Bonassola 10 vascelli di Turchi, i primi tre liuti a modo di pescatori e le galere stavano nascoste a Montegrosso, di modo che hanno sbarcato essi liuti, gente in terra, e i primi sono andati a Montaretto e lo hanno saccheggiato e poi si sono fatti innante 10 galeotti e galee ed hanno sbarcato un buon numero di Turchi, che hanno saccheggiato questo loco di Bonassola e trea l’uno e l’altro hanno preso da 56 anime. Sono, tuttavia, sopra Levanto per fare riscatto, in sino a qui si sono riscattate molte persone. Dei Turchi nel loco di Montaretto ne sono rimasti tre, uno morto e due vivi. Qui siamo da tutte ore in arme e non dubitiamo punto. Anche il Podestà di Framura - da cui Bonassola dipendeva - inviò al Senato Genovese il resoconto dell’evento, scrivendo che l’incursione dei Turchi si concluse con distruzioni, furti e la cattura di 53 persone di Bonassola e 13 uomini di Levanto venuti per dar soccorso, dè quali tutti se ne sono ricatati (riscattati) ventitré, cioè deci di Bonazzola et li tredici di Levanto, il resto sta ancora nelle mani di corsari. Ancora nel 1584 - anche se nel frattempo a Bonassola era stato costruito il castello - la paura delle incursioni era tale che la chiesa di Santa Caterina era senza parroco perché, essendo vicina al mare, nessun sacerdote voleva assumersi questo incarico per paura dei turchi e dei pirati. Anche gli abitanti avevano il medesimo timore e vivevano tenendo perennemente dei presidi, per difendersi dai sopraddetti turchi, pirati e altri uomini scellerati.

La Compagnia de Bonassolla

Domenica 13 marzo 1569, oltre 70 uomini di mare di Bonassola si riunirono nella parrocchiale di Santa Caterina per firmare il regolamento di questa società di mutuo soccorso, che era stato preparato dal notaio Matteo Vinzone, quasi certamente antenato del celebre cartografo.

 

La Compagnia - probabilmente la prima del genere in Liguria - venne costituita per riscattare, con un congruo pagamento in moneta, le persone di Bonassola e della sua Valle iscritte alla società, prese e fatte schiave dei Turchi et altri Corsali infidelli. Il regolamento prevedeva che quando uno o più iscritti venivano fatti schiavi, tutti gli altri aderenti dovevano subito alla prima notitia che haverano de detta captività senza citacione o altro ato giudicialle, immantinente sborsare quattro lire di bona moneta di Genoa per uno in mano e apreso del priore e soto priore della Confraternita de Sancto Theramo (Sant’Erasmo), che aveva sede nell’omonimo oratorio. Se la cifra raccolta era insufficiente rispetto alla richiesta avanzata, il priore ed il sotto priore dovevano preparare - alla presentia de un publico notario e testimonii - tanti biglietti quanti erano i malcapitati catturati dagli infedeli, ognuno con il nome di uno di loro. Successivamente un puto o altra persona che non habia o sappi lettera (cioè un bambino o un analfabeta) estraeva a sorte i nomi di coloro che potevano essere liberati. Vale la pena di ricordare i nomi dei primi “fratelli” di questa singolare associazione: Serra, Poggio, Fornia, Fieno, De Agostini, Costella, Ardoino, Bellando, Rossi, Grossi, Paganetto, Gavazzo, Lardozza, Vinzoni, Sartorio, Scotto, Salucci, Grosso, Luxardo, Ascheri, Bertamino, De Masi, Bollo, Bennati e Merani.

Il cartografo Matteo Vinzoni

E’ noto che, relativamente al XVIII secolo, la Liguria è, fra tutte le regioni italiane, quella che probabilmente possiede la più cospicua collezione di carte geografiche e topografiche del suo territorio. Il merito di ciò va indubbiamente attribuito ai Vinzoni, di cui Matteo è stato il principale esponente. La famiglia Vinzoni è originaria di Montaretto (le prime notizie documentarie risalgono al XV secolo), ove si trova tuttora la loro casa, un edificio tardo - medievale che sorge nel mezzo del centro storico. Matteo, nato nel 1690 e morto nel 1773, dopo essere stato per oltre 60 anni al servizio della Repubblica di Genova, ha lasciato un numero rilevante di carte geografiche e topografiche della Liguria, che sono tutt’oggi oggetto di studio. Malgrado il lavoro lo costringesse a frequenti viaggi in tutta la regione, Matteo non dimenticò mai le sue origini, tanto che nei mesi estivi amava trasferirsi a San Giorgio - nella villa di campagna della famiglia - per ritemprare le forze all’aria salubre della collina, come scrive ripetutamente nelle sue lettere. Le sue opere più importanti e conosciute sono due, la Pianta delle Due Riviere della Serenissima Repubblica di Genova divise ne’ Commissariati di Sanità e Il Dominio della Serenissima Repubblica di Genova in Terraferma, conservate a Genova, rispettivamente all’Archivio di Stato e presso la Biblioteca Civica Berio. Il cosiddetto Atlante della Sanità, è una raccolta di 37 carte topografiche eseguite a penna nera con ombreggiature colorate ad acquerello; una della Riviera di Ponente, una di quella di Levante e, rispettivamente, 19 e 16 commissariati della sanità. Per ogni commissariato sono indicati, su fogli separati, i dati inerenti i limiti territoriali, le casette o le guardiole per i corpi di guardia, il numero de’ caporali et uomini che caduno luogo faceva, quanti montavano di guardia sì di giorno che di notte. Per il Commissariato della Sanità di Bonassola il Vinzoni aveva previsto quattro posti di guardia dislocati sul lato a levante della spiaggia di Deiva, nello scalo di Framura, sullo scoglio del Salice e nel tratto centrale della spiaggia di Bonassola. Ogni presidio aveva un certo numero di persone su cui contare in caso di necessità ed alcune guardie che vigilavano giorno e notte (a Bonassola erano previste due guardie di giorno e quattro di notte). Qualche lettore si chiederà il perché di questa forma di controllo capillare della costa richiesta al Vinzoni dai magistrati della sanità della Dominante. In altre parole, perché la Repubblica di Genova ordinò al cartografo di fare l’Atlante della Sanità ? Per il timore del contagio della peste che, dal 1720, stava mietendo vittime a Marsiglia. Questa malattia costituiva all’epoca l’evento più catastrofico che potesse colpire una popolazione. Quando si diffondeva la voce che qualche nuovo focolaio di peste era attivo, le grandi città mercantili attuavano sui loro territori capillari sistemi di vigilanza, atti a prevenirne il contagio. L’Atlante dei Domini, ultimato da Matteo nel 1773, poco prima della morte, è una raccolta di carte topografiche di tutta la Liguria, tra cui quella di Bonassola, riprodotta nella figura. Sul retro della carta è scritto: Bonasola. Borgo piccolo a’ riva del Mare con Castello, bellissima chiesa, et Abitazioni, Oratorio, et Ospizio; che col Poggio sua Adiacenza, è nella Podestaria di Framura. Li suoi Abitanti sono Mercanti da vino, e la più parte Marinari, avendo buon numero di Barche, e Pinchi

Bonassola, terra di navigatori

Gio Bono Ferrari, grande appassionato di storia marinara, ideatore e primo direttore  del Museo Marinaro Municipale di Camogli, in una pubblicazione dalla quale abbiamo attinto la maggior parte delle notizie occorrenti per stendere queste note, ha scritto che Bonassola ebbe tanti navigatori che tutti uniti formano una vera aristocrazia del mare.

Già nel 1482 si trova citato nei documenti Pietro da Bonassola come padrone di barca. Alla fine del Quattrocento i marinai di Bonassola navigavano nel Tirreno mercanteggiando vino negli approdi di Ischia, della Corsica e della Sicilia. Altri invece, padroni di feluche e di saettie, trasportavano il grano ad Ostia, per conto dei papi. Sono menzionati Andreotto di Giovanni da Bonassola, Matteo di Benedetto Serra, Pasqualino da Bonassola ed Alberto figlio di Pasquale. Nel Cinquecento tra i padroni di barca che navigavano nel Mediterraneo con le loro imbarcazioni troviamo i nomi di Serra, Toso, Costella, Arpe, Bertamino, Casanova, D’Agostino, Merani, Paganetto, Pendibene, Rossi, Tiricolo, Ardoino, Mattarana. La tipica barca dei Bonassolesi, grossa e panciuta, era conosciuta in tutti i porti del Mediterraneo. Aveva ponte elevato di poppa, di forma piuttosto tozza, ampia armatura a bovo, con piccolo albero a prua e l’albero centrale dalla grande antenna. L’alloggio dell’equipaggio era a prora. Nel corso del XVII e del XVIII secolo portavano cannoncini e tromboni da murate. Durante il blocco navale di Genova del 1806, le imbarcazioni della gente di mare di Bonassola resero importanti servizi alla Dominante, contribuendo ad approvvigionarla per via di mare. Audacemente, nelle condizioni atmosferiche più avverse, burlarono ripetutamente le fregate inglesi, riuscendo a far entrare nel porto di Genova grano e olio caricati in Sardegna. Tra capitani e padroni di bovi o di pinchi che si distinsero maggiormente, si ricordano i Pendibene del casato dei Gin, i Serra del Ghindaro, padron Costella detto il Cerulla, i Tiricolo, i Rossi, gli Arpe, i Casanova, capitan Paganetto detto il Burrasca, capitan Bertamino detto il Merletto, capitan D’Agostini, capitan Merani, capitan Serra dei Lampo. Nella prima metà dell’Ottocento molti padroni di barche si trasferirono a Genova a causa delle mutate condizioni socio - economiche. In quel tempo diversi navigatori Bonassolesi erano dediti al commercio all’ingrosso del vino nell’Arcipelago Greco, che era quasi un loro feudo. Andare a Santa Maria o a Candia a caricar vino era, per i grossi bovi di Bonassola, una cosa abituale. Molti capitani parlavano il levantino e il greco e conoscevano a fondo usi e costumi orientali. Anche Marsiglia dipendeva per l’approvvigionamento del vino dalle imbarcazioni di Bonassola. Verso il 1820 le navi impiegate esclusivamente per l’importazione del vino aumentarono, estendendosi esteso il loro raggio d’azione anche alla Spagna, alla Provenza, alla Sardegna e al Regno delle Due Sicilie. Si costruivano speciali velieri atti per il carico del vino, con tutta la stiva occupata da grandi botti fisse col diametro dal pagliolo ai bagli di coperta. Verso la metà dell’Ottocento si passò da velaccieri, pinchi e bovi, alle scune da 150 e 200 tonnellate, sempre per il commercio del vino, che si caricavano a conto proprio, a denaro contante e senza cambiali. Queste imbarcazioni erano delle vere e proprie cantine galleggianti, con fusti da 100 e 150 ettolitri. Ancora dopo la guerra di Crimea gli uomini dell’aristocrazia del mare di Bonassola erano tutti imbarcati. A 12 anni, finite le scuole elementari, il futuro lupo di mare prendeva la prima Comunione. Poi la madre lo conduceva a Soviore per metterlo sotto la protezione della Madonna. Quindi il ragazzo partiva per Genova via mare, accompagnato dalla madre e dalle sorelle fin sulla spiaggia di Bonassola, portando con sé la cassa di bordo, bianca e nuova e lo scapulario della Beata Vergine di Soviore cucito nella berretta a fiocco rosso da marinaio. Arrivato a Genova c’era già l’imbarco pronto sul grande bovo del Guerset o sullo sciabecco del Betordo o sulla bombarda del Patriotta o del Marletta. I più fortunati trovavano imbarco sulle scune dei Cabanna, dei Serra del Ghindaro, dei Beccanin e dei Lampo, e partivano subito verso l’Egeo o la Spagna. Dopo i primi giorni di addestramento, i ragazzi riuscivano a salire sulle crocette di mezzana e a passare la freccia nelle virate di bordo. E sui grossi e veloci bovi cercavano di passare avanti ai marinai sulla penna della mezzana. Quando arrivavano ad essere mozzi maturi si imbarcavano sui bastimenti di Camogli e, dopo alcuni anni di navigazione, venivano assunti sui barchi vinaccieri bonassolesi come buoni marinai di prima, perché avevano navigato ed imparata bene la rude arte del navigare, sui grandi brick e sugli ship di Camogli. Molti, quando erano marinai provetti, sbarcavano per andare a studiare nautica da due benemeriti vecchi fratelli genovesi: i Benvenuto. Poi ancora sul mare, gli esami a Genova, davanti ad una severa commissione di ufficiali della Marina da Guerra. Così si formava un lupo di mare di Bonassola.

Angelo Arpe, pittore di ex voto marinari

Nativo di Bonassola, Angelo Arpe dipinse a Genova nella seconda metà dell’Ottocento. La maggior parte delle sue opere furono eseguite tra il 1860 ed il 1890 e oggi si trovano - a parte Bonassola - in diversi santuari mariani e chiese liguri, tra cui Nostra Signora del Boschetto a Camogli, Nostra Signora di Montallegro a Rapallo, Nostra Signora di Soviore a Monterosso, Nostra Signora di Reggio a Vernazza e la pieve di San Martino a Costa di Fra mura.

Di Angelo Arpe Laura Secchi ha scritto: Si dedicò con successo al ritratto navale, un genere di pittura assai richiesto nel secolo scorso. Preciso ed attento nel rappresentare scafi, alberi, vele, attrezzature e manovre con un segno sicuro e pulito rivelatore di indiscutibili conoscenze tecniche e di amore per il soggetto trattato, questo artista fu pure un abile interprete di burrasche e bufere di mare, e del mare seppe cogliere ogni variazione e renderne gli aspetti mutevoli con bella sensibilità coloristica. Nella parrocchiale di Santa Caterina sono conservati, sulla parete a sinistra del presbiterio, ben dieci ex voto dell’Arpe, che rappresentano in modo esauriente pressoché tutta la gamma produttiva dell’artista. Sino a qualche anno fa gli ex voto di Angelo Arpe nella parrocchiale erano undici, poi uno venne rubato.

Il pittore Antonio Discovolo

Sul Times dell’undici luglio 1956 venne pubblicato il necrologio di cui si trascrive la traduzione: Il ben noto pittore paesista italiano Sig. Antonio Discovolo è morto ieri nella sua casa vicino a La Spezia all’età di 82 anni. Nato a Bologna nel 1874, studiò dapprima con Giovanni Fattori e poi con Nino Costa. Fu dapprima dedito allo studio del paesaggio e sebbene seguisse delle linee che sembrano ricordare gli impressionisti francesi, portò nei suoi studi limpido tocco degli effetti di luce del mare e del cielo. I suoi paesaggi marini sono spesso stati considerati i suoi più bei lavori, ma essi sono strettamente rivaleggiati dalle sue pitture della campagna Umbra e di Assisi, soggetti che hanno ispirato tanti pittori italiani e senza dubbio ne continueranno a ispirare. Queste brevi note sono probabilmente sufficienti per definire l’arte di Antonio Discovolo e per contestualizzarla nell’ambito della pittura contemporanea. La casa vicino a La Spezia a cui fa cenno il noto quotidiano londinese è a Bonassola e, nelle sue memorie, pubblicate postume a cura del figlio Mauro, l’artista spiega il motivo di questa scelta.

Sebbene Manarola m’avesse offerto l’ispirazione per dipingere vari soggetti interessanti, sentii che m’era necessario trasferirmi in una località di più ampio respiro e con una natura più varia. Nel recarmi a Genova avevo più volte fermata l’attenzione su Bonassola. Ero rimasto impressionato da quel bellissimo paesaggio in cui le montagne hanno creato un caratteristico piccolo golfo come un gesto d’abbraccio. Decisi di passarvi un pomeriggio per rendermi conto dell’ambiente.......... e così diventai cittadino bonassolese, ai primi di giugno del 1910.

Sin dai primi anni del trasferimento del pittore, Bonassola fu frequentata assiduamente dai suoi amici ed estimatori che, nei rapporti epistolari con il pittore (riportati nella pubblicazione del figlio citata in bibliografia), fanno sovente riferimento alla nostra cittadina con espressioni ed accenti che meritano di essere ricordati. Il pittore e storico dell’arte Orlando Grosso: Quando potremo andare alla “Francesca” per rimanervi qualche giornata? Soli con le tele e i colori? Di uno di questi momenti il Grosso - altro bonassolese d’adozione - ha lasciato in dono al Comune di Bonassola una bella testimonianza pittorica, una piccola tela (Incontro Antonio Discovolo che dipinge nella pineta, del 1921), conservata nella galleria intitolata ad Antonio Discovolo che si trova nell’edificio comunale.

Sem Benelli: ...... avvicinandomi a te l’altro giorno, scendendo giù dalla Baracca sul Bracco verso Bonassola, e guardavo le innumerevoli creature verdi e quelle ammalate o macchiate dal pianto del dire addio, in quell’autunno umido e pietoso, tra le piante e i vigneti che s’aprivano nell’ondeggiare dei poggi, rossi e disperati e le cave del monte marmoreo, di un marmo che ha il colore del pino e del vino, e le casupole intente, col mare laggiù e la punta di Sestri lontana e le nuvole che venivano a godersi la terra e s’avvicinavano tanto e poi fuggivano via timorose e vergognose d’essere troppo sformate dal gaudio d’essere nate dal mare e dell’andare per il cielo innamorate della terra........ E via che il mare s’avvicinava, io lo vedevo traverso a castagni che già perdevano le dolci foglie e attraverso gli olivi che sono sempre freddi e d’argento, forti e religiosi, indissolubili: - Vi sarà l’uomo fin che vi sarà l’olivo – pensavo.

Nell’estate del 1948 anche lo scrittore Giovanni Papini iniziò a frequentare la casa di Discovolo a Bonassola. Dopo avervi soggiornato scriveva all’amico: Dall’impetuoso e pescoso mar di Liguria eccomi sul ventoso e doloroso Appennino. Son venuto qui perché c’è un amico che mi legge e mi fa compagnia ma, per molte ragioni, rimpiango Bonassola... i giorni di Bonassola sempre in cuor mi stanno..... Mauro mi ha mandato una bella vista della Madonnina, che ha risvegliato la mia nostalgia.....

 

Le opere di Antonio Discovolo si trovano, oltre che in collezioni private italiane e straniere, nelle gallerie d’arte moderna di Roma, Firenze, Milano, Venezia, Torino e Genova. A Bonassola, a parte le collezioni private e quelle conservate dai suoi eredi nella villetta che il pittore fece costruire nella parte occidentale del borgo, due sono esposte in luoghi pubblici, poiché donate dalla famiglia dell’artista alla comunità locale: La Croce (1923), che si trova nella parrocchiale di Santa Caterina e Primavera, conservata nella galleria Discovolo in Comune, esposta sul cavalletto dell’artista.

Modalità di accesso

Si accede alla struttura dal portone principale situato in Via Iside Beverino, 1, 19011 Bonassola SP.

Come arrivare

Via Iside Beverino, 1, 19011 Bonassola SP

Mappa 

Costi

L’accesso al municipio è gratuito

Orario per il pubblico

Consultare le schede dei singoli uffici per ricevere informazioni in merito agli orari di apertura

Ultimo aggiornamento: 16-04-2024

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